25 Novembre 2025

Festa della Toscana: Saccardi, “Questa è una terra che crede nell’umanità e in un futuro più giusto”

L’intervento della presidente del Consiglio regionale ha aperto la seduta solenne per ricordare l’abolizione della pena di morte avvenuta in Toscana nel 1786 da parte del Granduca Pietro Leopoldo. Il tema delle celebrazioni di quest’anno è “Toscana, un ponte per la pace”. Sono intervenuti il senatore Riccardo Nencini, lo storico Sandro Rogari e il presidente della Regione, Eugenio Giani

 

Comunicato n. 1019 - 1020 - 1022 - 1023
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Firenze – “Celebriamo la Festa della Toscana per guardare meglio in avanti, per ricordarci che il cammino iniziato 260 anni fa non è compiuto e che spetta a noi continuarlo, che la Toscana continui ad essere per ciascuno di noi una comunità che non lascia indietro nessuno, una terra che crede nel valore dell’umanità e nella possibilità di un futuro più giusto, più libero e più umano, questa è la nostra Festa, dei diritti, della Toscana”. Con queste parole la presidente del Consiglio regionale Stefania Saccardi conclude il suo intervento per la seduta solenne della Festa della Toscana – il cui tema quest’anno è “Un ponte per la pace” – istituita venticinque anni fa per celebrare il ricordo dell’abolizione della pena di morte avvenuta il 30 novembre 1786 da parte del Granduca Pietro Leopoldo.

In apertura la presidente ricorda la presenza, al centro dell’Aula, del bandiera della Regione con due scarpette rosse, adagiate su uno sgabello, “perché oggi – afferma – è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, di cui parleremo nella seduta ordinaria del pomeriggio”.

“Quest’anno – spiega Saccardi – celebriamo i 260 anni dall’abolizione della pena di morte in Toscana, un atto che rese il nostro territorio il primo al mondo a riconoscere per legge l’inviolabilità della vita umana e celebriamo anche il 25esimo anniversario della nascita della Festa della Toscana e proprio per questo ho invitato il senatore Riccardo Nencini, perché fu istituita quando ricopriva la carica di presidente del Consiglio regionale”.

La presidente parla del momento storico che stiamo vivendo, “in cui abbiamo a che fare con guerre, tensioni internazionali, crisi umanitarie e migrazioni, crisi ambientali e climatiche, con la crescita delle disuguagliante economiche e sociali, con la crisi del lavoro e le trasformazioni del sistema produttivo, con la gestione dell’impatto dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie”  e ancora “con l’invecchiamento della popolazione, l’aumento del costo della vita” “con la crescita dell’odio e delle violenze, soprattutto sulle donne” e nel “momento presente in cui assistiamo all’erosione della fiducia nelle istituzioni e nella partecipazione democratica”.  Saccardi si sofferma sul senso della celebrazione della Festa della Toscana, definendola una festa “dei diritti, ispirata alla scelta rivoluzionaria che mise la dignità della persona al centro dell’ordinamento e della società”.

Per Saccardi, la Festa della Toscana non è “una rievocazione nostalgica che guarda al passato come una fotografia ingiallita. Noi, invece, abbiamo la consapevolezza di appartenere a una terra che ha saputo fare dei diritti e della giustizia un patrimonio vivo e forte”, “siamo una comunità di persone diverse” con un “passato comune” e “impegnati in un viaggio di cui condividiamo aspetti positivi e negativi”. Citando poi Giorgio La Pira ricorda che “gli uomini sono membri di collettività umane fra loro organicamente collegate” e aggiunge: “D’altronde, è nel rapporto con gli altri che acquistiamo senso e valorizziamo a pieno ciò che siamo”.  Ed è questo il senso del significato persona che “implica la necessità di entrare in ascolto e in relazione con gli altri; è in fondo questo il punto centrale della politica: scoprire di essere uniti da un filo che ci lega a chi è venuto prima e a chi verrà dopo di noi, perché non siamo i primi, non siamo gli unici e non saremo gli ultimi. Accorgersene e tenerlo a mente costituiscono la vera chiamata a realizzare quelle infinite possibilità che si presentono quando si scopre di non essere soli”.

Per la presidente Saccardi “è illusorio credere che la nostra società sia fatta di tante singole soggettività” così come “il bene comune non è un’addizione aritmetica del bene di ogni singolo cittadino”; ognuno, invece, “è chiamato a riconoscere gli altri compagni di viaggio in modo da contribuire alla ricerca di soluzioni comuni, perché ciascuno è alla ricerca di un futuro migliore”.

“Celebrare la festa della Toscana – conclude – significa riconoscere che la nostra storia è una sorgente che alimenta il nostro presente, che è l’eredità di quella scelta” e che “ci impegna a costruire una Toscana che non smette di essere una terra di dialogo, giustizia, di pace e libertà, che respinge ogni forma di violenza e odio” e che “non si rassegna alle diseguaglianze e alle fragilità del nostro tempo ma prova a trasformarle in responsabilità comuni”. “È un invito a riconoscere nell’altro un volto, una storia e una speranza”. E infine: “È una promessa che questa terra” “saprà essere ancora presidio e avanguardia dei diritti umani, un luogo che mette la persona prima di ogni cosa”.

 

L’intervento di Riccardo Nencini

“Torno volentieri e con una certa emozione sul luogo del delitto”. Lo ha detto il senatore Riccardo Nencini, presidente dell’Istituto Viesseux, e soprattutto “padre” della Festa della Toscana, entrata nella cronaca da ben venticinque anni, intervenendo alla seduta solenne a palazzo del Pegaso.

Già nel dicembre 2000, ha spiegato Nencini, pur in assenza di una legge specifica, la Toscana guardò all’opera di Pietro Leopoldo, e da allora il Consiglio regionale decise di scavare meglio quel periodo della storia della nostra regione, non particolarmente conosciuto. “Come scrisse il grande poeta italiano Mario Luzi – ha ricordato Nencini – l’abolizione della pena di morte ad opera di Pietro Leopoldo fu un ‘atto fondante di questa terra e dello Stato cui apparteniamo’”.

Il 30 novembre del 2001 furono fatte suonare tutte le campane della Toscana, “ed in un periodo di divisioni politiche marcatissime a livello nazionale, mentre Bossi sceglieva di battezzare la folla con l’acqua del Po, per ripetere un fondo di Sergio Romano, la Toscana, in totale sintonia tra Consiglio e Giunta, si concentrò sulle riforme leopoldine come segno di unità e di civiltà, con un granduca che fu vittima di un paradosso: mentre aboliva la pena di morte e la tortura in terra toscana, la sorella fu ghigliottinata in Francia”. Anche allora, come sottolineato da Nencini, le strade erano due, ed anche se la scelta di Pietro Leopoldo fu simbolica, il tutto va inserito all’interno di una serie di riforme: dalle prime bonifiche alla riforma agraria, proprio perché “quel capo di stato diciottenne, che faceva ispezioni sul campo, capì che in Toscana per il suo livello di civiltà, ‘si potevano adire delle riforme significative’”. Tra queste, ancora: la separazione tra le funzioni di giustizia e di polizia, inserendo il principio della mitezza e della gradualità della pena; l’abolizione della confisca dei beni ma anche del reato di lesa maestà divina, accanto all’inserimento della difesa tempestiva dell’accusato.

E arrivando alla conclusione del proprio intervento, il senatore si è chiesto quale sia il senso di continuare a celebrare la Festa della Toscana: “non solo e non tanto per ricordare un periodo significativo della nostra storia, ma soprattutto per avere la forza di tornare a difendere quei diritti che continuano ad avere un valore universale, e la nostra regione anche nel presente può vincere la battaglia della difesa della democrazia, della libertà e dell’inclusione, proprio ispirandosi a quell’atto simbolico di Pietro Leopoldo che fece distruggere le forche”.

 

L’intervento di Sandro Rogari

Nel suo intervento il professor Sandro Rogari, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Firenze ha parlato della Festa della Toscana come di un ricordo al quale “sono chiamati tutte le cittadine e tutti i cittadini della Regione nella ricorrenza dell’abolizione della pena di morte da parte del Granduca Pietro Leopoldo il 30 novembre 1786, un evento che ha una valenza etica profonda. Al centro di questa Festa che non ha niente di puramente ludico ci sono soprattutto i giovani”.

“Si tratta – ha proseguito – di un ponte tra ieri e oggi che è fondante, e anche per questo la Festa della Toscana ha un profondo significato di etica civile che ci fa ritornare nel passato per costruire il presente”. Un concetto fondamentale espresso dal professor Rogari è che “i ragazzi vanno perdendo il senso della storia”. “Della storia come retorica di un presunto passato glorioso e luminoso – ha aggiunto – facciamo volentieri a meno. Quello che è sicuro è che le nuove tecnologie, unite alla disarmante accelerazione del tempo storico, che induce alla sensazione di una perenne precarietà del presente e del futuro, hanno annientato il senso della storia. Noi dobbiamo restituire la consapevolezza storica ai giovani, per fare in mondo che non si perdano nel presente o, peggio, nel presentismo. Nella storia non devono trovare un vincolo, ma una bussola di indirizzo”.

“Ricordare il Granduca Pietro Leopoldo – ha aggiunto – che primo in Europa abolisce la tortura e la pena di morte, ma anche il reato di lesa maestà, ha un significato profondo che si proietta nella contemporaneità. Egli interpreta la forza della civiltà e dell’umanità contro la barbarie”.

Ripercorrendo quel periodo storico, nel suo racconto il professor Rogari ha ricordato le letture che hanno ispirato Pietro Leopoldo, su tutte quelle dell’illuminista lombardo Cesare Beccaria, che pubblicò ‘Dei delitti e delle pene’. Ma Pietro Leopoldo seppe anche andare oltre “introducendo nel diritto penale due principi allora rivoluzionari, il principio del primato della legge e della sua dominanza cui il giudice si deve sottoporre nell’amministrare la giustizia, e il principio di garanzia dell’imputato. Applicò i principi di Montesquieu, che sono oggi contenuti nella nostra Carta costituzionale”.

“Le motivazioni che portano il Granduca ad approvare questa riforma del diritto penale – ha spiegato Rogari – furono, per prima cosa dare soddisfazione al privato e al pubblico danno, la seconda fu che la pena deve mirare alla correzione del reo, la terza fu quella di dare sicurezza ai cittadini assicurando la certezza della pena, la quarta fu la funzione del pubblico esempio, con l’applicazione dei mezzi più efficaci, ma con il minor male possibile per il reo, con riferimento implicito alle esecuzioni capitali eseguite in pubblico, spettacolo barbaro che incontrava la sua ferma condanna. L’abolizione della pena di morte fu un atto rivoluzionario che riprende anche i principi ‘della carità cristiana in quanto essa è amore del prossimo’ di Ludovico Antonio Muratori”.

Quello del Granduca Pietro Leopoldo per il professor Rogari “fu un riformismo illuminato applicato in tutti i campi, dalle bonifiche al governo dell’economia e che vide la democrazia come soluzione ineluttabile”.

Concludendo il suo intervento il professor Sandro Rogari ha ripercorso i temi di una Festa della Toscana nata nelle piazze nel 2000 e declinata in tanti aspetti dalla libertà di espressione al dialogo interreligioso, dai diritti delle donne a quelli dei disabili, dai temi della guerra al futuro dell’Europa, dal volontariato all’arte e la scienza fino a quello di quest’anno che vede la Toscana come ponte per la pace.

“Mi auguro – ha spiegato il professor Rogari – che i temi della Festa della Toscana delle prossime edizioni tornino sulla questione dei diritti dei più deboli, parlino di clima e di tutela dell’ambiente. Si ispirino a questo nostro grande antenato per avanzare idee d’avanguardia, di rottura, di innovazione, come il Granduca aveva cercato di fare con la Costituzione ante litteram che purtroppo restò nel cassetto. Questo è lo spirito del suo tempo, che dobbiamo fare nostro, consapevoli che ognuno di noi è responsabile di sé stesso. Ma anche che la consapevolezza implica la conoscenza tratta dalla nostra storia. Non per ripiegarsi su di essa, ma per far discendere da essa stimolo e indirizzo di innovazione e di cambiamento nell’interesse, come avrebbe detto il Granduca, della Nazione e dei suoi individui”.

 

L’intervento di Eugenio Giani

Un excursus storico sulla Festa della Toscana e sulle sue origini al centro dell’intervento del presidente della Regione Eugenio Giani in chiusura della seduta solenne della Festa dedicata quest’anno a “Un ponte per la pace”.

“Oggi celebriamo una Toscana che ha costruito un’identità che nessun’altra delle Regioni italiane ha – ha detto Giani – ovvero un’identità propria di un governo che arriva da 456 anni, il 27 agosto del 1569, in cui Cosimo I de’ Medici diventa Magnus Dux Etruriae e grazie al quale il nostro territorio diventa una regione che è uno stato”.

Il presidente Giani, definendo Pietro Leopoldo “un extraterrestre, perché veniva in Toscana non essendo né nato né cresciuto nella nostra regione”, ha ricordato le sue riforme economiche con l’eliminazione di tutti i dazi e le dogane, con la decisione di abolire le 21 vecchie corporazioni e imporre i propri statuti, dando a tutti i lavori pari dignità, “Pietro Leopoldo – ha spiegato – dice basta con le corporazioni, ci vuole un unico centro di registrazione economica delle attività, che è la Camera di commercio” e “tutti hanno diritto di iscriversi senza distinzioni del lavoro che fanno”.

Non solo vengono declinate le riforme nell’economia – come ha raccontato il presidente – ma anche nella scuola, con la nascita di quattro scuole pubbliche, nella sanità pubblica con gli statuti di Santa Maria Nuova e Santa Maria della Scala a Siena dove c’è un modo nuovo di concepire gli ospedali, “non più luoghi di fragilità”, ma “luoghi in cui ci si specializza nella cura”. Da qui “nascono la chirurgia e la specializzazione delle discipline mediche” e “le attività di carità vengono sviluppate da istituzioni che vengono progressivamente fondate”.

Poi si ricorda Leopoldo come colui che “costituisce le comunità, quelle che oggi chiamiamo i Comuni, come luoghi di aggregazione dei popoli, e così da mille e duecento popoli la Toscana diventa il luogo delle 300 comunità”, e “ancora oggi abbiamo 273 comuni razionali e con la capacità di fare”.

“Leopoldo, il grande straordinario riformatore – ha continuato Giani – che vive il momento epocale quando prepara la riforma della giustizia”, “con l’abolizione della pena di morte, della tortura e della confisca dei beni ai condannati”.  Infine, la realizzazione delle opere pubbliche “come la strada statale dell’Abetone e del Brennero”, “le bonifiche del lago di Bientina, finite da Leopoldo II, la Val di Chiana che viene resa il granaio della Toscana, la Maremma che inizia il percorso che gli consentirà di superare gli effetti malarici”.

In conclusione, Giani ricorda “il significato dell’opera di questo granduca che attraverso l’abolizione della pena di morte, ci regala qualcosa che non è solo storia ma è attualità”, “il frutto dell’identità della Toscana, l’unico degli stati preunitari che assomiglia ad una Regione di oggi. Non c’è nessuna altra delle 19 regioni che abbia avuto l’identità da stato moderno che abbiamo noi”.

La seduta si è conclusa con la consegna del Pegaso della regione ai due relatori: al presidente del Gabinetto Viesseux Riccardo Nencini e Sandro Rogari, ordinario di storia contemporanea dell’Università di Firenze.

(testo a cura di Bendetta Bernocchi, Paola Scuffi e Emmanuel Milano)

 

 

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