Detenuti: la dimensione affettiva delle persone in carcere
Presentata in Consiglio regionale la ricerca realizzata dalla Fondazione Giovanni Michelucci in collaborazione con il Garante regionale dei diritti dei detenuti Giuseppe Fanfani: “Tema in discussione da anni per riconoscere il diritto all’affettività di chi si trova in carcere”. Il presidente dell’Assemblea legislativa toscana, Antonio Mazzeo: “La nostra proposta di legge al Parlamento è ferma da troppo tempo. Scriverò al presidente della commissione Giustizia del Senato”
Firenze – “È un tema discusso oramai da anni, su cui numerose sono state le proposte di legge presentate in Parlamento, tra le quali l’ultima inviata proprio dal Consiglio regionale della Toscana nel febbraio del 2020, su sollecitazione dell’ex garante Franco Corleone, e attualmente assegnata alla Commissione Giustizia del Senato, di cui è relatrice Monica Cirinnà – ha ricordato Giuseppe Fanfani, Garante dei diritti dei detenuti della Toscana, aprendo i lavori del seminario sulla ricerca della Fondazione Michelucci su ‘La dimensione affettiva delle persone detenute’. – Nell’ambito della proposta, da cui la ricerca che presenteremo oggi prende le mosse, si prevede la realizzazione di spazi interni agli istituti penitenziari in cui le persone detenute possano incontrare i propri partner e possano avere con loro anche rapporti sessuali: si tratta di spazi che, oltre al requisito della riservatezza, devono avere delle caratteristiche di accoglienza e di dignità che siano adeguate all’espressione della relazionalità di coppia in un modo il più possibile simile a una condizione di libertà”.
“Sono orgoglioso di come la Toscana, da sempre terra dei diritti, sia presente su questi temi – ha affermato Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale – Una delle prime cose che ho fatto appena eletto è stata la visita ad un carcere. Ritengo infatti che il Consiglio regionale debba soprattutto dare voce a chi ne ha meno. Non è possibile che la nostra proposta di legge sia ferma da così tanto tempo. Scriverò al presidente della Commissione Giustizia del Senato. Si tratta di mettere al centro la dignità della persona. Su questo saremo sempre in prima linea”.
“L’ambizione della politica dovrebbe essere quella di avere il coraggio di mettere al centro della propria azione i diritti, che sono diritti per tutti – ha affermato Serena Spinelli, assessore al welfare della Regione Toscana – In questo paese si fa fatica a parlare di sessualità, anche nel caso dei disabili. Parlarne oggi in questa sede significa affermare con forza che di questi temi dobbiamo occuparci, anche se questo ci porterà meno consensi”.
“Essere qui a parlare del diritto all’affettività e sessualità in carcere lo considero quasi un privilegio – ha osservato Silvia Botti, presidente della fondazione Giovanni Michelucci – Il concetto di diritto sta avendo derive inquietanti nella opinione pubblica. Confondiamo le libertà personali con i diritti: perciò abbiamo bisogno di declinare in un mondo che cambia alcuni diritti fondamentali che sono alla base delle conquiste che abbiamo fatto”.
“La ricostituzione delle relazioni familiari interrotte, il loro mantenimento e miglioramento, sono già tra gli obbiettivi dell’amministrazione penitenziaria – ha rilevato Pierpaolo D’Andria, provveditore dell’amministrazione penitenziaria per la Toscana e l’Umbria – Il videocollegamento è uno strumento che speriamo non sia limitato a questa fase emergenziale. Ci sono poi specifiche modalità organizzative. Molto è stato fatto, ma molto resta da fare e questa di oggi è un’occasione importante di confronto”.
I temi del Convegno e la Proposta di legge della Regione Toscana
Il lavoro di ricerca della Fondazione Michelucci è stato ispirato dal disegno di legge presentato dalla Regione Toscana il 10 luglio 2020 al Senato della Repubblica, nell’ambito della XVIII legislatura e, attualmente, assegnato ai lavori della 2° Commissione permanente Giustizia.
L’iniziativa del Consiglio regionale della Toscana, immediatamente raccolta in termini di approfondimento, ricerca e sostegno dal Garante dei diritti dei detenuti intende dare uno “sbocco normativo al dibattito politico e legislativo, da anni in corso, sul tema del riconoscimento del diritto soggettivo all’affettività e alla sessualità delle persone detenute.”
La proposta di legge è giunta al culmine di oltre venti anni di tentativi di dare pienezza al diritto all’affettività della persona in stato di detenzione, tentativi che non hanno sino ad oggi trovato uno sbocco concreto, un inquadramento normativo. Basti ricordare come tale diritto fosse già stato previsto nel progetto di riforma del Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario, elaborato sotto la responsabilità dell’allora Sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e con il grande contributo di Alessandro Margara, in quel momento a capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziari.
Tale soluzione normativa è stata stralciata dal testo definitivo approvato dal Consiglio dei ministri nel giugno 2000 dietro parere del Consiglio di Stato, che rinviava al legislatore il potere di adeguare la normativa sul punto. Successivamente vi sono stati altri tentativi: si ricordi, ad esempio, la Proposta di Legge presentata alla Camera il 28 aprile 2006 dai deputati Boato, Ruggeri e Balducci, ma anche le proposte derivanti dai lavori degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale, passando per la Sentenza della Corte Costituzionale n. 301 del 2012.
La proposta di legge della Regione Toscana raccoglie l’impegno profuso all’interno della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, di cui il Consiglio regionale della Toscana ha deciso di farsi portavoce. In particolare, gli interventi si sono concentrati (all’Art. 1) sull’articolo 28 dell’ordinamento penitenziario, che regola i rapporti con la famiglia, al quale è stato aggiunto il ‘diritto all’affettività’ attraverso un comma che recita “Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine le persone detenute e internate hanno diritto ad una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli Istituti penitenziari senza controlli visivi ed auditivi”. La formulazione lascia spazio alla definizione della natura di quelli che possono essere i rapporti affettivi con un familiare, un convivente, o un amico.
Relativamente ai luoghi atti ad ospitarli viene, inoltre, precisato che “le unità abitative sono pensate come luoghi adatti alla relazione personale e familiare e non solo all’incontro fisico, un tempo troppo breve, infatti, rischia di far tramutare la visita in esperienza umiliante e artificiale. Per tale ragione si è inteso prevedere che la visita possa svolgersi all’interno di un lasso di tempo sufficientemente ampio. L’assenza dei controlli visivi e auditivi serve a garantire la riservatezza dell’incontro.”
La proposta interviene (con l’art. 2) anche sull’articolo 30 dell’Ordinamento penitenziario che regola i cosiddetti “permessi di necessità”, proponendo la sostituzione del secondo comma che recita “Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità” – con il seguente: “Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza”, andando ad eliminare il presupposto della ‘eccezionalità’ e della ‘gravità’, da sempre interpretato come legato a lutti o malattie dei familiari. Tale modifica sottolinea che non solo gli eventi traumatici possono avere “particolare rilevanza” nella vita di una persona o di una famiglia.
Altro intervento art. 3) è dedicato all’articolo 39 del Regolamento di esecuzione, relativamente al diritto alla corrispondenza telefonica, prevedendo che le telefonate possano essere svolte, quotidianamente, da tutti i detenuti, per una durata massima raddoppiata non superiore ai venti minuti, superando le restrizioni nel numero dei colloqui telefonici riservati alle persone detenute del circuito di alta sicurezza.
Inoltre, all’art. 4 prevede che con l’entrata in vigore della Legge,il diritto di visita venga immediatamente garantito in almeno un Istituto per Regione. Le modifiche apportate all’art. 28 dell’Ordinamento penitenziario., infatti, introducono le unità abitative attrezzate e ne sanciscono la realizzazione in due fasi: una prima fase in cui si dovrà garantire il diritto alle visite in almeno un Istituto per regione (20 Istituti); una seconda fase, dai sei mesi successivi all’entrata in vigore, in cui si dovrà garantire il diritto di visita in tutti gli Istituti (quindi anche nei restanti 170 Istituti).
La proposta di legge del Consiglio regionale della Toscana prevede anche che dopo l’’approvazione sia fatta un’indagine da parte dell’amministrazione penitenziaria per individuare gli immobili da destinare all’esercizio del diritto di visita (Case dell’affettività ).
Per quanto riguarda i fondi necessari alla realizzazione di tali interventi, essi sono stati individuati nell’ambito dei fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinati ai lavori sugli immobili pubblici, per i quali esiste una specifica programmazione dedicata all’edilizia penitenziaria. Con l’auspicio che la proposta venga approvata e il 2021 diventi l’anno in cui, finalmente, anche le persone recluse vedranno riconosciuto il diritto di avere e coltivare degli affetti nella loro vita, non possiamo che augurarci che questa ricerca rappresenti un piccolo contributo a questo fondamentale processo.
Il percorso della Proposta di Legge della Regione Toscana, seppur avviato, si annuncia certamente complesso e difficile, il cui sviluppo si colloca peraltro in un frangente storico, politico e sociale, del tutto particolare, caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 e dai ‘mille’ provvedimenti di urgenza che questa ha determinato sul piano sanitario, economico, sociale, culturale, con ricadute pesanti sulla quotidianità di ciascuno e sulle libertà individuali. Il carcere medesimo è stato oggetto di provvedimenti di urgenza, ripetuti, e finalizzati a limitare e contenere i possibili focolai di infezione al proprio interno. Si è trattato di interventi che, come in molte altre occasioni passate, non sono apparsi ispirati ad una logica organica, di prospettiva, effettivamente riformatrice. Il respiro corto di detti provvedimenti, siano stati essi normativi, ma anche organizzativi e gestionali, assieme ad uno sguardo mostratosi spesso miope, ovviamente fa temere non solo per l’approvazione del Disegno di Legge sull’affettività, ma soprattutto per la tenuta del sistema carcerario nel suo complesso e per il pieno riconoscimento, nella quotidianità, della dignità della persona in stato di detenzione.
Detenuti: a gennaio nelle carceri della Toscana oltre 3.100 presenze
La fotografia delle carceri in Italia e in Toscana che emerge dalla ricerca della Fondazione Michelucci, presentata oggi nel corso del convegno organizzato dal Garante per i diritti dei tenuti della Tiscana, Giuseppe Fanfani, è in chiaro scuro. Dopo la condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti (violazione dell’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), originata dal cronico sovraffollamento delle strutture carcerarie, il nostro Paese ha messo in campo una serie di interventi di tipo normativo, di tipo edilizio e di tipo organizzativo, che hanno certamente contribuito a determinare un’attenuazione delle presenze in carcere.
Dal picco di 67.961 detenuti presenti alla fine del 2010, nel periodo successivo la situazione generale è andata man mano migliorando, scendendo progressivamente e sensibilmente sino a toccare i 52.164 detenuti presenti al 31 dicembre 2015. Nel corso del 2016, tuttavia, il numero di persone detenute è andato nuovamente ad incrementarsi. Alla fine del 2018 le persone detenute in carcere erano 59.655 e, al 31 dicembre 2019, le presenze sfondavano la soglia delle 60.000 unità.
Quanto poi è seguito deve essere interpretata alla luce della grave emergenza pandemica da Covid-19 che ha investito, a partire dal febbraio 2020, il mondo intero. A seguito di una serie di interventi emergenziali la popolazione detenuta in Italia, nel corso del 2020, è progressivamente scesa, giungendo a toccare a fine anno le 53.364 unità (51.109 uomini e 2.255 donne). L’indice di sovraffollamento è, dunque, inizialmente sceso dal 151% registrato alla fine del 2010 al 105,6% alla fine del 2015. Alla fine dell’anno 2019 l’indice di sovraffollamento negli Istituti penitenziari italiani era leggermente aumentato raggiungendo il 119,9%. A seguito dell’emergenza sanitaria, l’indice di sovraffollamenti in Italia al 31 dicembre 2020 si attestava al 105,5%.
A livello regionale si è assistito ad un processo analogo: a fronte delle 4.242 persone detenute presenti in Toscana alla fine del 2011, dato variato di poco alla fine del 2012 (4.148) ed alla fine del 2013 (4.008), negli anni successivi si è assistito ad una stabilizzazione dei detenuti presenti attorno alle 3.260- 3.280 unità. Al 31 dicembre 2017 negli Istituti penitenziari della Toscana erano presenti 3.281 persone detenute, salite al 31 dicembre 2018 a 3.406. Al 31 dicembre 2019 le presenze nei 16 Penitenziari toscani erano 3.556 unità (3.451 uomini e 105 donne), mentre alla fine del 2020 le presenze erano scese a 3.204 unità (3.107 uomini e 97 donne). Dato quest’ultimo di poco variato al 31 gennaio 2021, quando le presenze erano scese a 3.159 (3.071 uomini e 88 donne).
Il sistema penitenziario toscano presenta una situazione piuttosto articolata, meritevole di grande attenzione: conta oggi 16 Istituti penitenziari per adulti, per una popolazione detenuta, al 31 dicembre 2020, pari a 3.204 unità (3.107 uomini e 97 donne). Le persone detenute di origine straniera erano, alla stessa data, 1.594, pari al 49,8% dell’intera popolazione detenuta in regione. Si tenga presente che la componente di origine straniera detenuta negli Istituti penitenziari italiani ammontava, nello stesso momento, al 32,5%.
Le persone detenute tossicodipendenti presenti nelle strutture penitenziarie della Toscana, al 31 dicembre 2020, erano 911, pari al 28,4% della popolazione detenuta complessiva (3.204) e, di queste, ben 435 (il 47,7%) erano di origine straniera. Alla stessa data le persone detenute per reati legati agli stupefacenti erano 1.092 (il 34,1% del totale), delle quali 663 erano di origine straniera (il 60,7%).
Molto più contenuta, in Toscana, la presenza di donne detenute, ferma al 3% sul totale della popolazione carcerata, a fronte di una media nazionale pari al 4,2%. Alla fine del dicembre 2020 le donne detenute erano in tutto 97, tutte all’interno dell’Istituto di Firenze Sollicciano.
Rispetto alle posizioni giuridiche dei detenuti presso gli Istituti penitenziari toscani si evidenzia come al 31 dicembre 2020, le persone in attesa di primo giudizio fossero 439 (13,7%); le persone condannate non definitive (appellanti, ricorrenti, misti) risultassero 361 (11,3%) e le persone condannate in via Inquadramento generale 19 definitiva ammontassero a 2.400 (74,9%); gli internati fossero rappresentati da una sola unità; le persone non computabili fossero 3 (0,1%).
Il processo di attenuazione del sovraffollamento si è certamente riverberato anche sul sistema penitenziario regionale, basti pensare ai 4.148 detenuti presenti al dicembre 2012. Questa progressiva riduzione ha favorevolmente inciso soprattutto su alcuni penitenziari, primo fra tutti il Complesso Penitenziario di Firenze Sollicciano che dai 999 presenti del 31 dicembre 2013, è passato ai 698 detenuti presenti al 31 dicembre 2015, per poi riprendere una Leggera risalita: 731 al 31 dicembre 2016, 791 al 31 dicembre 2019, ridiscendendo Leggermente a 704 unità alla fine del 2020.
Solo nel corso del 2020 si è registrata, a causa anche dell’emergenza sanitaria, un decremento rispetto almeno all’anno 2019, ancorché taluni Istituti penitenziari mantengano un certo livello di sovraffollamento. Si ricorda, infine, che la Casa circondariale a custodia attenuata di Empoli è stata chiusa nell’agosto 2016, allo scopo di realizzarvi la seconda REMS in Toscana e lo storico Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino è stato totalmente lasciato dall’Amministrazione penitenziaria nel giugno 2017. Al 31 dicembre 2020 la capienza regolamentare dei 16 Istituti penitenziari presenti in Toscana ammontava a 3.100 posti, mentre i detenuti presenti erano 3.204.
A tal proposito risulta utile osservare che la situazione strutturale degli edifici penitenziari toscani presenta ancora oggi una serie di problematicità che attendono soluzioni. Si tratta di edifici o parti di edifici, interni a vari penitenziari regionali, che attendono il completamento di lavori di ristrutturazione: è il caso degli Istituti di Arezzo, di Livorno, di Firenze Mario Gozzini. L’ultimazione di questi lavori potrebbe effettivamente liberare nuovi posti e, soprattutto, migliorare le condizioni di vita di molti detenuti che si trovano ristretti in sezioni detentive da chiudere definitivamente o da ristrutturare.
Per quanto attiene, in conclusione, alle presenze presso gli Istituti penitenziari minorili in Toscana si evidenza che presso l’Istituto penale minorile “Meucci” di Firenze, alla data del 31 dicembre 2020, erano presenti 14 giovani, mentre presso l’Istituto penale minorile di Pontremoli erano presenti 7 ragazze. La presenza media giornaliera presso l’IPM di Firenze, nel corso del 2020, si è attestata sulle 14 unità, mentre a Pontremoli si è attestata sulle7-8 unità. A fine 2020 le presenze presso gli Istituti penali mnorili italiani erano complessivamente 278. Nel corso del 2020 il Centro di Prima Accoglienza di Firenze ha registrato 19 ingressi. Presso l’IPM fiorentino, nel corso dell’anno, si sono registrati 12 episodi di autolesionismo ed un tentato suicidio. Nell’IPM di Pontremoli gli episodi di autolesionismo sono stati in tutto 2 ed un tentato suicidio.
Detenuti: i problemi delle donne in stato di detenzione
“La riflessione sulla condizione delle donne detenute, inserite in un’istituzione pensata per gli uomini e assoluta minoranza nel mondo carcerario, ha messo in luce i pregiudizi sul genere, che nel carcere hanno una maggiore persistenza rispetto al mondo esterno, sebbene anche lì sopravvivano – ha sottolineato il Garante per i diritti dei detenuti della Toscana Giuseppe Fanfani presentando la ricerca della Fondazione Michelucci durante il convegno ‘La dimensione affettiva delle persone in carcere’ – Si sono discusse proposte di approcci differenti alla detenzione femminile, che restano aperte come possibili alternative. La ricerca è un passo avanti, uno strumento che può servire a progredire verso un cambiamento reale”.
La segregazione binaria obbligatoria per sesso di appartenenza si scontra con una realtà che deve necessariamente tenere conto dei diritti e delle necessità di una popolazione variegata che non corrisponde affatto a tale suddivisione. Un esempio su tutti, la gestione delle sezioni per detenute e detenuti transgender come il cosiddetto Reparto D (o “reparto trans”) della Casa Circondariale Firenze Sollicciano rappresenta a oggi l’unica esperienza nazionale in cui le persone transgender (unicamente M to F) sono detenute all’interno di un reparto femminile, andando contro il paradigma prevalente che prevede l’assegnazione in sezioni protette all’interno del reparto corrispondente al sesso biologico.
Nel ricercare un modello alternativo per la detenzione femminile che contrastasse l’imposizione del carcere maschile alle donne, tradizionalmente è stato proposto un modello femminile ben distinto rispetto al carcere maschile, ma quanto mai oppressivo e pervasivo, perché ricalcato sull’esperienza dei riformatori – di fatto, istituzioni volte a riprodurre e confermare approcci rieducativi basati su un’immagine stereotipica della donna deviante.
Un altro modello che si dovrebbe portare avanti è invece il carcere delle donne che vale anche per gli uomini: recupera degli aspetti della differenza femminile cercando di superare la sussidiarietà della detenzione delle donne, presentandosi come un modello più comprensivo dei diversi soggetti e quindi capace di farsi portatore di diritti a prescindere dall’appartenenza di genere.
Il tema della genitorialità in carcere è uno dei punti chiave per ridiscutere le percezioni condivise sulla differenza maschile/femminile. Tanto i dati esperienziali di chi frequenta il carcere per lavoro o volontariato, quanto le ricerche condotte nel contesto del penitenziario confermano la centralità del tema della genitorialità per le donne detenute, che nel successo o fallimento della propria capacità genitoriale riescono a trovare un punto di forza o un motivo di forte sofferenza. Ciò nonostante, si ritiene necessario garantire la continuità del rapporto tra genitori e figli per tutta la popolazione detenuta, non solo per le detenute donne.
L’essere e (soprattutto) raccontarsi madre diviene un’arma dalla lama affilata e doppia. Da una parte, è possibile intravederne il ruolo sociale narrato come necessario, come elemento di trattamento; dimostrare di essere una buona madre ne è parte costitutiva. I figli e le figlie sono un’àncora necessaria per riuscire a reggere durante la carcerazione, ma allo stesso tempo diventano motivo di profonda sofferenza aggiuntiva a causa del ruolo mancato e della lontananza affettiva.
Altro tema estremamente significativo è la presenza di relazioni omosessuali, letti spesso in un’ottica patologizzante da parte dell’Amministrazione penitenziaria, quasi a decretare il carcere responsabile di disturbi del comportamento sessuale. Tuttavia, l’omosessualità femminile è maggiormente accettata rispetto a quella maschile. Viene infatti considerata meno problematica perché le donne sembrano farla ricadere all’interno delle relazioni affettive, con un preciso richiamo a un ambiente di tipo familiare. Ancora una volta, viene censurato il corpo sessuato e si focalizza l’attenzione sulla relazione: le donne, si dice, si vogliono bene in modo gentile e non creano problemi.
Il problema della sessualità in carcere viene raccontato come un problema di sicurezza: gli uomini vengono percepiti vivere la sessualità in maniera violenta e aggressiva, mentre le donne sembrano esprimersi senza traumi e problemi. Tuttavia, se l’Amministrazione penitenziaria italiana pare assumere un approccio naturalistico nell’analisi dell’omosessualità femminile in carcere già agli inizi degli anni Novanta si è cercato di confutare tale posizionamento introducendo il concetto di gender fluidity, negando l’esistenza di ruoli prestabiliti.
Detenuti: sfera dell’affettività, l’esperienza delle carceri toscane
Gli Istituti toscani, in modi diversi, si propongono di accogliere gli affetti delle persone detenute nella loro totalità, secondo il principio di dignità. L’attenzione verso le relazioni affettive è ben testimoniata, per esempio, dai corsi di supporto alla genitorialità che si svolgono nella maggior parte di essi e dall’organizzazione di momenti conviviali, come le Feste della famiglia che, periodicamente, vengono organizzate e che vedono le persone detenute cucinare e accogliere i loro cari dentro le mura del carcere.
Significativa in questo senso è l’esperienza realizzata all’interno della Casa Circondariale di Livorno che, durante una di queste occasioni, ha permesso alle persone detenute di avere dei ritratti fotografici insieme ai loro cari, supportando le persone detenute nella riappropriazione, anche simbolica, della propria presenza all’interno nel nucleo famigliare, da poter testimoniare attraverso una fotografia, da esporre all’interno della camera detentiva, ma anche da consegnare ai propri cari, come testimonianza del loro legame.
Un altro spazio dedicato agli affetti, in particolare ai bambini, è certamente l’area verde, usufruibile nella bella stagione e presente nella quasi totalità degli Istituti che, come nel caso della Casa di Reclusione di Porto Azzurro, risulta curata e attrezzata per poter accogliere gli ospiti in uno spazio il più possibile simile ad un parco. Sempre più frequentemente, inoltre, a questi spazi viene associata l’attività di Pet Therapy che vede l’accompagnamento dei bambini da parte di cani addestrati, capaci di rendere meno traumatico l’impatto con la dimensione della struttura detentiva e supportando l’incontro col genitore, non sempre sereno.
Importante è anche l’esperienza portata avanti nell’Istituto Mario Gozzini a Firenze dove le persone detenute possono incontrare i loro animali domestici. All’interno della struttura di Massa Carrara, invece, è stata realizzata una casina rossa pensata per gli incontri con i bambini e collocata nel giardino e nella Casa Circondariale. A Pistoia si è tenuto un percorso partecipativo che ha portato alla realizzazione di un giardino per le visite dei famigliari. Un altro aspetto che testimonia una maggiore attenzione all’accoglienza dei visitatori, soprattutto ai più piccoli, è l’allestimento delle sale colloqui con angoli morbidi o ambienti specificatamente dedicati ai bambini, così come i servizi di animazione che in alcuni Istituti rendono maggiormente sopportabile l’attesa o il colloquio stesso.
In tal senso, una grande rivoluzione è stata introdotta dall’emergenza sanitaria che ha reso possibile la prenotazione dei colloqui, andando ad eliminare le file dinanzi agli Istituti e i tempi di attesa, spesso trascorsi all’esterno, senza protezione dalle intemperie o in ambienti non sempre adatti ed accoglienti. Anche l’introduzione delle videochiamate, soluzione emergenziale per tamponare la sospensione dei colloqui, è andata ad intercettare una necessità, propria di coloro che non erano soliti fare colloqui a causa della distanza della famiglia, ma che ha permesso comunicazioni più frequenti e meno onerose.
In questo senso, nel carcere di Livorno è emerso come le videochiamate tramite WhatsApp, più brevi, ma anche più frequenti, vengano spesso preferite rispetto ai collegamenti più lunghi tramite Skype. Naturalmente risulta auspicabile che la possibilità di videochiamare e di prenotare i colloqui restino in vigore anche una volta superata l’emergenza sanitaria. Sempre a Livorno e a causa dell’emergenza sanitaria, è stato introdotto un servizio di scansione e invio tramite posta elettronica della corrispondenza, che ha portato alla riduzione dei tempi necessari per le comunicazioni scritte.
Per quanto riguarda la definizione di spazi espressamente dedicati alle visite, in alcuni Istituti come quelli di Arezzo e Livorno sono stati intrapresi degli approfondimenti per verificarne la fattibilità. Anche la Casa di Reclusione di +Volterra è da anni impegnata nella definizione di un progetto che porti alla creazione di una stanza per gli affetti che, pur non essendo ancora approvato e realizzato, permetterebbe una rapida e preparata applicazione della nuova Legge.
Sull’Isola di Pianosa è, invece, attiva la cosiddetta ‘Casa delle mosche’ dove i familiari delle persone detenute possono risiedere e trascorrere del tempo libero con i loro cari nella fascia oraria che non li vede occupati nelle attività lavorative (15.00 -21.30). In orario serale, però, le persone recluse devono rientrare al Sembolello. La Casa delle mosche consiste di due appartamenti, uno destinato ai detenuti che possono già usufruire di permessi e un altro per le persone che ancora non ne possono usufruire e che sono quindi autorizzati ai soli colloqui visivi con familiari o terze persone. Altro elemento interessante di questa sperimentazione è l’equiparazione delle persone terze ai familiari; ciò ha permesso, infatti, ad alcuni detenuti di avere colloqui visivi anche con le rispettive fidanzate conosciute su internet.
La Casa delle mosche è certamente un’esperienza facilmente replicabile anche in altri contesti, in primis nella Casa di Reclusione di Porto Azzurro che potrebbe ristrutturare una delle foresterie per destinarla a questo tipo di incontri. L’intervento potrebbe essere di tipo progressivo e rivolgersi, in una prima fase, alle persone in permesso, per poi allargarsi anche agli altri detenuti sempre nel rispetto delle indicazioni del Magistrato di sorveglianza. Un’esperienza simile è stata sperimentata anche sull’Isola di Gorgona, dove i famigliari hanno potuto permanere per alcuni giorni e vedere i propri cari, in permesso sull’isola, in un ambiente attrezzato.
L’opera che, tuttavia, rimane un punto di riferimento per la definizione di un luogo pensato per ospitare gli affetti, è sicuramente “Il Giardino degli incontri” all’interno del Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano a Firenze. Progettato dall’Architetto Giovanni Michelucci, rappresenta un caso unico all’interno del panorama regionale e nazionale. Nato come luogo per gli incontri tra il detenuto e i familiari in visita, si caratterizza per la qualità degli spazi che offre in antitesi con l’architettura carceraria, mitigandone la sensazione di oppressione specialmente quando alle visite partecipano dei minori.
Attraverso il giardino, infatti, la persona detenuta può godere un momento di effettivo rilassamento in compagnia di familiari ed affini in visita. Il Giardino degli incontri accoglie al suo interno un’area verde, un teatro all’aperto, percorsi a pergolato, corsi d’acqua e panchine che ricordano quelle del “Parc Guell”. Attualmente gli spazi destinati ai colloqui consistono in specifici locali per colloqui visivi ed un edificio per gli incontri interno al Giardino. Per gli incontri con i minori è presente uno spazio giochi collocato all’interno dell’edificio del giardino dove i bambini possono attendere il genitore detenuto. L’edificio per gli incontri prevede anche una vasta area esterna dove poter effettuare incontri all’aria aperta durante il periodo estivo. La modalità di accesso avviene a seconda del regime di detenzione.
I video
La dichiarazione di Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale
La dichiarazione di Giuseppe Fanfani, Garante dei diritti dei detenuti della Toscana
La dichiarazione di Serena Spinelli, assessore regionale al Welfare
La dichiarazione di Saverio Migliori, tra i curatori della ricerca della Fondazione Michelucci